martedì 29 gennaio 2019

Don Chisciotte: imparare traducendo - il galgo e il ronzino, che con lo scudo e la lancia fanno l'hidalgo


Galgo español, Castilla


Don Chisciotte: imparare traducendo - il galgo e il ronzino, che con lo scudo e la lancia fanno l'hidalgo

C'è un cane nel Don Chisciotte che mi ha aperto un mondo: è il galgo dell'incipit. Un cane di cui non ricordavo l'esistenza, perché non se ne trova traccia nell'iconografia dell'opera che da quattro secoli ha un posto privilegiato nell'immaginario occidentale. Eppure il galgo fa parte di quella serie di otto parole - cinque nomi e tre aggettivi - con cui Cervantes traccia il primo profilo del suo anti-eroe: un'unica pennellata, alla Picasso o alla Matisse, con cui nasce il romanzo moderno. È il 16 gennaio 1605 - o per lo meno questa è la prima pubblicazione che ci è pervenuta, l'autorizzazione reale è del settembre 1604 perciò potrebbe essercene stata una precedente.

Pur conoscendo l'influenza dell'opera di Cervantes sulla letteratura e sull'arte dei secoli successivi, e la vitalità del suo personaggio nell'immaginario occidentale dopo oltre quattro secoli, confesso di non essermi resa conto dell'incisività di quelle otto parole fino al momento in cui ho ripreso in mano il testo non per una semplice rilettura, ma per Don Chisciotte: nuova sfida alla traduzione lanciata da Progetto @MarcoPolo con Adotta_il_Tradotto LINK. Perché se è vero che ogni parola contiene un mondo, è altrettanto vero che per accorgersi di ciascuno di quei mondi in nuce non c'è niente di meglio che cimentarsi in una traduzione. Una volta superata la fase della comprensione inizia quella della ricerca del termine che meglio rende il significato del testo originale. Se si traduce nella propria lingua madre - nel senso letterale, cioè quella in cui ci parlava nostra madre: la lingua locale o il dialetto in cui non siamo abituati a scrivere - questa seconda fase porta necessariamente ad un'insolita ricerca della nostra identità culturale più profonda, quella sepolta sotto anni di scuola e studi vari, decenni di letture, radio e televisione in italiano. Un'identità che emerge in modo ancora più netto se si ha la possibilità di confrontare versioni in lingue diverse, magari parlandone con i traduttori. Questi sono i motivi per cui ho ideato il Progetto @MarcoPolo: riscoperta della propria identità per farne dono all'altro, superamento dei confini e nuove relazioni, attraverso la lettura condivisa dei testi letterari.

INCIPIT

En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antiguarocín flaco y galgo corredor.

Miguel de Cervantes Saavreda, El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha LINK


Con le parole che aprono il testo, rifiutando cioè di dare un nome al paese di Don Chisciotte (In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome è la traduzione di Ferdinando Carlesi,* 1933) 
Cervantes mette in campo il primo tema: l'ironia nei confronti dei romanzi cavallereschi. Eliminando dati che rendevano unico l'eroe epico, mediocrizza il suo protagonista e al tempo stesso sgancia la sua opera dalla tradizione, celebrando la libertà compositiva. È un attacco in cui eludendo si allude. E sarà lo stesso autore a sottolineare la provocazione di quel rifiuto nelle pagine conclusive del secondo volume, pubblicato alla fine del 1615:

Este fin tuvo el Ingenioso Hidalgo de la Mancha, cuyo lugar no quiso poner Cide Hamete puntualmente, por dejar que todas las villas y lugares de la Mancha contendiesen entre sí por ahijársele y tenérsele por suyo, como contendieron las siete ciudades de Grecia por Homero.
2, capitúlo LXXIV LINK

Questa fu la fine dell'Ingegnoso gentiluomo della Mancia, il cui luogo preciso di nascita non volle Cide Hamete mettere nel suo libro, perché tutti i villaggi e i paesi della Mancia  si potessero contendere fra loro il vanto di avergli dato i natali, come fecero per Omero le sette città della Grecia.
2, LXXIV
* Traduzione di Ferdinando Carlesi, 1933 - edizione Oscar grandi classici 1991 pp. 1210-11
Canija (Magra), la galga corredora di mia cugina
Spe Taillefer Medina, Barcelona
Veniamo quindi alle otto parole che descrivono il personaggio in modo tanto incisivo: hidalgo, lanza, adarga antigua, rocín flaco, galgo corredor. Al momento di tradurre, la mia attenzione è stata in primo luogo catturata dal galgo corredor proprio perché non ricordavo nessun cane accanto a Don Chisciotte. 

Dell'Ingenioso hidalgo generalmente si conosce la cavalcatura, Ronzinante: un cavallo malandato o, appunto, ronzino. Si ricorda il suo scudiero Sancio Panza in sella all'asino. Siamo in molti ad aver da sempre chiara l'immagine dei mulini a vento. Ma l'iconografia non ci propone cani. Eppure Cervantes pone il galgo corredor proprio nell'incipit. E non certo a caso. 

Per tradurre in lingua veneta, variante veronese, sono partita dalla traduzione in italiano di Ferdinando Carlesi*, pubblicata per la prima volta nel 1933: galgo corredor diventa can da séguito cioè segugio. Oggi la classificazione, anche sportiva, è cane da seguita. 

Non sono un'esperta di caccia: per trovare la traduzione più precisa in veronese mi sono perciò rivolta a mio cognato Giuseppe Zamboni, cacciatore sin da ragazzo, figlio e nipote di cacciatori. "Can da leori - mi ha risposto -. In questa zona generalmente si impiega il segugio italiano".

Can da léori significa, letteralmente, cane da lepri: esattamente lo stesso significato di levriere (o levriero) che, ci spiega il Vocabolario Treccani LINK
è il nome (anche in funzione attributiva: cane l.) di varie razze di cani da corsa,     impiegati anche per la caccia alla lepre. Levrière deriva dal francese lévrier, che è il latino tardo (canisleporarius, derivato di lepus -pŏris «lepre». 

Nessuna sorpresa, visto che i Romani non si limitarono a dare a Verona la pianta urbana e alcuni dei suoi monumenti più preziosi come l'Arena e il Teatro Romano, ma lasciarono un'impronta importante nella cultura che traspare in primis dalla lingua.

Grazie a un'immagine speditami da Mariangela Dui di Lula (Oristano) che per la nostra sfida ha tradotto l'incipit in lingua sarda - ho poi scoperto che levrière da caccia è la scelta di traduzione di Alfredo Giannini (1923)**. Wikisource riporta la traduzione del 1818 di Bartolomeo Gamba: cane da caccia***.  È la stessa scelta di Pietro Curcio (1950) come mi ha comunicato Francesco Marcianò mandandomi la sua versione in lingua greca di Calabria.

Sono andata quindi a cercare il significato della parola usata da Cervantes, galgo
Secondo l'Enciclopedia Treccani, il galgo spagnolo è il levriere che maggiormente si avvicina a quello dell'antichità LINK
Da altre fonti online ho appreso che il greyhound inglese discenderebbe dal galgo spagnolo. 

La presenza del canis gallicusantico cane dei Celti, nella penisola iberica è attestata già dal proconsole Romano Arriano di Nicomedia (95-175 d.C.). Considerato un cane nobile, per secoli fu riservato agli aristocratici sia cristiani che mussulmani e furono promulgate numerose leggi che ne punivano severamente l'uccisione o il furto. Citato nei testamenti, veniva lasciato in eredità come un bene prezioso. Dal Medio Evo la caccia alla lepre divenne attività riservata ai nobili. I Fueros de Castilla y Aragón (Privilegi di Castiglia e Aragona) proibirono il possesso di galgos ad altre classi sociali, politica continuata dai Borboni fino alla Desamortizatión de Mendizàbal LINK che nel 1836 abolì, tra gli altri, anche questo privilegio.

La condizione del galgo spagnolo è comune ad altri levrieri.

Per esempio quello irlandese, il gigante tra i cani. Chiamato nella lingua celtica traducibile come "segugio", "cane da lupi" (in inglese è chiamato Irish Wolfhound), o "cane da guerra", sarebbe arrivato nell'isola già nel 7.000 a.C., avrebbe combattuto con i Celti nel Sacco di Delfi nel 279 a.C. e viene citato da Cesare nel De bello gallico. Nei secoli seguenti figura nelle leggi irlandesi, nei poemi e nelle saghe. Dal periodo dell'occupazione anglo-normanna, ai soli nobili era permesso per legge possederne, in numero dettato dal rango: tanto che gli irredentisti irlandesi, primo fra tutti Mícheál Ó Coileáin (1890 – 1922), gli preferivano il Kerry Blue Terrier.

Il levriere è anche figura araldica: simboleggia, oltre la caccia, un animo pronto, vivace e costante nel seguire una impresa. Niente di meglio per Don Chisciotte.

Ecco quindi il significato di quel galgo corredor nell'incipit: indica la condizione sociale dell'hidalgoil nobile. Descrive, proprio come la figura araldica del levriere, l'animo di Don Chisciotte che - ci spiega subito dopo l'autore - era stato amigo de la caza (amante della caccia *) ma, a causa della passione per la lettura dei romanzi cavallereschi, 


olvidó casi de todo punto el ejercicio de la caza, y aun la administración de su hacienda 
dimenticò quasi del tutto la caccia e anche l'amministrazione del suo patrimonio *. 

Per comprarsi libri era arrivato al punto di vendere terreni: ma non il galgo corredor. Di questo levriere non sentiremo più parlare nelle oltre 1200 pagine dell'opera, in cui ricorrono però altri galgos, sempre ad indicare una condizione sociale - i perros (termine generico per cani) compaiono tre volte più spesso. 
Per esempio, nel secondo volume, cap. XVI, Don Diego de Miranda si presenta così:

    Soy más que medianamente rico y es mi nombre Don Diego de Miranda; paso la vida con mi mujer, y con mis hijos, y con mis amigos; mis ejercicios son el de la caza y pesca; pero no mantengo ni halcón ni galgos, sino algún perdigón manso, o algún hurón atrevido. 

   Sono assai ricco, e mi chiamo Don Diego di Miranda. Passo la vita con mia moglie, coi miei figliuoli e coi miei amici; le mie occupazioni sono la caccia e la pesca; non tengo tuttavia né falconi né levrieri da séguito, ma soltanto qualche perniciotto addomesticato per richiamo e qualche bravo furetto. 
* Vol 2, cap. XVI, p. 717

Nell'incipit, il galgo corredor è quindi il simbolo dell'appartenenza di Don Chisciotte a una determinata classe sociale, proprio come una figura araldica. La figura araldica prescelta, il levriere, indica l'animo di Don Chisciotte.
Il fatto poi che questo hidalgo possiede un unico levriere ci dà la misura delle sue scarse condizioni economiche: i levrieri vengono generalmente allevati in mute, e la caccia si svolge preferibilmente unendo varie mute (come avviene per la caccia alla volpe in Inghilterra). 

Ecco quindi rafforzato anche il senso degli altri termini che compongono quel gruppo di otto parole:
lanza la lancia che tiene nella rastrelliera, come un cavaliere medievale ma con una proprietà dove tiene la rastrelliera, non quindi solo cavaliere errante: nel corso dell'opera Don Chisciotte parte da casa e vi fa più volte ritorno per poi ripartire
adarga antigua lo scudo antico/vecchio, probabilmente ereditato da qualche antenato. L'adarga è una tipologia di scudo di derivazione araba, molto resistente alla spada, alla lancia e alla freccia, utilizzato nel tornei e nei duelli cavallereschi della nobiltà spagnola fino al XVII secolo LINK A mio parere, Cervantes vuol qui fare anche un sottile, ironico richiamo allo scudo di Achille 
rocín flaco ronzino, cioè cavallo dalla cattiva conformazione, meticcio, di scarso pregio - non purosangue, che Don Chisciotte non poteva permettersi - oltretutto magro. In cavalleria, il ronzino era solitamente riservato allo scudiero, o utilizzato per trasportare bagagli. 

Un'unica pennellata, come nei migliori esempi di arte moderna, per delineare il personaggio. Con questa pennellata Cervantes supera la retorica rinascimentale e i suoi ideali di armonia, e colloca il suo Don Chisciotte in età barocca: già queste otto parole danno la misura di una realtà ambigua e sfuggente, dominata dall'indebolirsi del confine tra reale e fantastico.


TRADUZIONE IN VERONESE

Én un paéseto de la Mancia, che no gò voia de ricordarme come el se ciàma, no tanto tempo fa vivea un nobilòmo de cuéi có lansa ne la restelèra, scudo vècio, bròco^ séco strinà^^, e can da léori.
AUDIO

bròco è un cavallo malandato, dal latino broccus agg. "sporgente" (detto dei denti). Il termine, comune ad altre parlate del nord Italia, si usa anche per indicare persona incapace, inetta, imbranata
Vd. Vocabolario Treccani brocco LINK

^^ séco strinà molto secco / magro - da strinàr inaridire dal freddo o dal troppo caldo; strìn indica sia il rigore dell'inverno che il caldo secco di certe giornate estive 
Vd. Treccani strinare LINK letteralmente Riardere, o seccare e inaridire le piante, come effetto del calore del sole o, al contrario, del gelo invernale: altri [semi] caddero nei sassi ... e sorto il sole, furono strinati e per non avere radice seccarono (Pascoli); il freddo in terra era intenso, le poche erbe erano già strinate dal gelo (Montale).
Vd. Treccani strina LINK
s. f. [der. di strinare, o lat. austrina, femm. sostantivato dell’agg. austrinus (v. strinare)]. – Voce presente in dialetti centro-settentrionali, con sign. diversi ma affini: improvviso gelo dannoso alla vegetazione, rigore dell’inverno, vento gelato, siccità.



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INCIPIT

Traduzioni in italiano

* Ferdinando Carlesi, 1933
In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e can da séguito.
  • traduzione e introduzione di Ferdinando Carlesi, Collana Biblioteca Moderna (2 voll.: pp. 526 e pp. 574), Mondadori, Milano, 1933; Collana I Meridiani, Mondadori, 1974, pp. 1451 ISBN 88-04-11306-5; Collana Oscar classici 1985; Collana Oscar grandi classici 1991
** Alfredo Giannini, 1923:
In un borgo della Mancia, che non voglio ricordarmi come si chiama, viveva non è gran tempo un nobiluomo di quelli che hanno e lancia nella rastrelliera e un vecchio scudo, un magro ronzino e un levriere da caccia.
  • traduzione di Alfredo Giannini, Collana Biblioteca Sansoniana straniera (4 voll.), G.C. Sansoni, Firenze, 1923; Collana BUR, Rizzoli, Milano, 1949-2017, pp. 1328
*** Bartolomeo Gamba, 1818:
Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia.
  • traduzione di Bartolomeo Gamba, 8 voll., Venezia, 1818-19; Parma, 1829-30; Ist. Editoriale Italiano, 1913; Barion, 1931 LINK

**** Pietro Curcio, 1950
In un sito della Mancia del cui nome non voglio ricordarmi, viveva, or non è molto, un idalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi d'antica foggia, ronzino magro e cane da caccia.
  • traduzione di Pietro Curcio (volume unico), editrice Curcio, Ancona, 1950, pp. 684
Rara immagine del galgo corredor di Don Chisciotte LINK

venerdì 18 gennaio 2019

Don Chisciotte: Marcella, la "pastora" che vive libera e non accetta imposizioni




 Maristella Tagliaferro - profilo su Treccani.it
Blog

Don Chisciotte: Marcella, la "pastora" che vive libera e non accetta imposizioni

 - ... ¿por qué queréis que rinda mi voluntad por fuerza, obligada no más de que decís que me queréis bien?
Marcela, capítulo XVI, primera parte
Miguel de Cervantes Saavreda, El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha in Progetto Gutemberg 
LINK

 - ... Dunque, perché volete che sottometta la mia volontà per forza, per la sola ragione che voi dite che mi volete bene?"
Marcella, cap. XIV, p. 120 - volume 1
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, traduzione di Fernando Carlesi - Arnoldo Mondadori editore, 1974 - edizione Oscar Mondadori, 1991


Le parole di Marcella mi risuonano dentro come quelle di milioni di donne - adolescenti e non - che non accettano di sottomettere la propria volontà a quella di chi sostiene di amarle, si tratti di genitori e parenti, oppure di uno spasimante respinto.

E non è questo l'unico tratto di modernità di Marcella, personaggio che Miguel de Cervantes Saavreda ci presenta nella prima parte del suo capolavoro, quella pubblicata nel 1605

Un personaggio di cui non avevo mai sentito parlare prima di dedicarmi a Don Chisciotte: nuova sfida alla traduzione lanciata da Progetto @MarcoPolo con Adotta_il_Tradotto LINK 

La necessità di individuare frasi e brani da proporre per la traduzione mi ha costretto a leggere con attenzione buona parte dell'opera che fino a poco tempo fa conoscevo solo a stralci - sono oltre 1.200 pagine di testo, note escluse. L'episodio che riguarda Marcella occupa ben tre capitoli - XII, XIII, XIV - e quasi una trentina di pagine. Eppure né nelle antologie, né nelle storie della letteratura avevo trovato alcuna citazione di questa singolare "pastora"uno dei tesori per così dire nascosti nel romanzo. Un personaggio di cui si capisce l'importanza solo con l'evolversi della coscienza collettiva, visto che se ne trova finalmente traccia in alcuni blog recenti.

In breve: don Chisciotte e Sancio Panza incontrano dei pastori che piangono un loro compagno, Crisostomo, morto di disperazione perché il suo amore per la bellissima pastora Marcella non è ricambiato. La descrivono come donna crudele perché lui aveva rinunciato a tutto per lei: era di famiglia agiata e si era fatto pastore per starle vicino. Ma lei l'aveva respinto.
Anche Marcella era nata in una famiglia benestante: rimasta orfana e ricca di suo, aveva scelto di vivere come pastora per essere libera. Eccola quindi sui monti, con le caprette, a godere dell'amicizia di semplici pastore, in una sorta di Arcadia rinascimentale. Sono molti i pastori che l'ammirano per la sua straordinaria bellezza, ma lei rende chiaro a tutti che vuol vivere autonoma, libera e felice in comunione con la natura e le sue creature. Trovo che questo ritorno alla natura sia un altro tratto di modernità: è una scelta che parecchi giovani stanno facendo anche oggi.
Al funerale di Crisostomo, affollato di amici che piangono il defunto convinti che di quella morte sia colpevole solo quella donna "fredda e distante", arriva Marcella che non si fa intimidire dagli sguardi minacciosi, né accetta di assumersi alcuna colpa. Anzi: come donna rivendica la libertà di scegliere se amare o meno, dice che lei non ha mai illuso né Crisostomo né altri, che non può essere costretta ad amare qualcuno solo perché lui sostiene di amarla, che vuol vivere libera in contatto con la natura.
Tra la sorpresa generale, don Chisciotte le dà ragione e si frappone tra lei e chi vorrebbe punirla di colpe che Marcella non ha: ma questo lo sappiamo con la consapevolezza di cittadini del mondo occidentale del ventunesimo secolo.

Quanti, nel resto del mondo, la pensano ancora oggi come i pastori della Mancia descritti da Cervantes all'inizio del Seicento? Quanti la pensavano così anche qui in Italia fino a pochi anni fa? Quanti la pensano ancora così nell'Italia di oggi quando picchiano e/o ammazzano figlie, mogli, ex? La violenza di genere - purtroppo lo sappiamo - è ancora oggi il tragico effetto del rifiuto di accettare che le donne non sono proprietà degli uomini, e che hanno il diritto e il dovere di decidere da sole come e dove vivere, se amare o non amare.

Nelle parole che fa pronunciare a Marcella, Cervantes ha tracciato una bellissima difesa ante litteram dell'autodeterminazione delle donne. E chissà quanto c'è, in questo straordinario personaggio, di Catalina Salazar, la donna che lo scrittore aveva sposato nel dicembre 1584: la giovanissima hidalga rurale era nata e vissuta in un villaggio della Mancia toledana, Esquivias, dove Cervantes visse per un periodo con lei. Secondo alcuni studiosi, lo scrittore si sarebbe ispirato agli abitanti di Esquivias per i personaggi del suo capolavoro. Il paese natale della moglie Catalina sarebbe quindi diventato il paese di Don Chisciotte, quel lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme.

mercoledì 16 gennaio 2019

Don Chisciotte: una selezione di frasi per la nuova sfida alla traduzione

Salvador Dalì, Don Quijote LINK


Don Chisciotte: una selezione di frasi per la nuova sfida alla traduzione

Tradurre l'incipit e/o un brano a scelta, oppure anche una sola frase: sono varie le opzioni per partecipare a
Don Chisciotte: nuova sfida alla traduzione lanciata da Progetto @MarcoPolo con Adotta_il_Tradotto
LINK

Tutte le traduzioni saranno pubblicate su questo blog e sul sito Adotta_il_Tradotto LINK 

Ho selezionato una dozzina di frasi, che troverete elencate qui sotto, ma potete sceglierne anche altre dall'opera di 
Miguel de Cervantes Saavreda

Cercare frasi, o una scena da tradurre diversa da quella selezionata da me - Don Chisciotte contro i mulini a vento - offre l'occasione di rileggere questo testo fondamentale della letteratura occidentale, oppure di tornare a spulciarlo: Cervantes ha elaborato indici dettagliati di ciascun capitolo per entrambi i volumi (pubblicati rispettivamente nel 1605 e 1615), evidenziando parecchi episodi che sono entrati a far parte dell'immaginario comune. Attenzione però: alcune scene che in molti ricordiamo non sono elencate nell'indice, bisogna andare a cercarle, e questa ricerca offre ulteriori spunti.

SELEZIONE FRASI

VOLUME 1


1. En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco y galgo corredor.
1. In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e can da séguito.
Cap. I, p. 21

2. ... y así, del poco dormir y del mucho leer, se le secó el celebro, de manera que vino a perder el juicio. 
2. ... e così, a forza di dormir poco e di legger molto, gli si prosciugò talmente il cervello, che perse la ragione.
Cap. I, pag. 23

3. - ... cuanto más, que cada uno es hijo de sus obras".
3. - ... ognuno è figlio delle proprie azioni.
don Chisciotte, cap. IV, p. 44

4. - ... sabed que yo soy el valeroso don Quijote de la Mancha, el desfacedor de agravios y sinrazones"
4. - ... sappiate che io sono il valoroso Don Chisciotte della Mancia, colui che disfà qualunque sopruso e addirizza tutti i torti.
don Chisciotte, cap. IV, p. 45

5.  Y aún se tenía por dichoso, pareciéndole que aquélla era propia desgracia de caballeros andantes, y toda la atribuía a la falta de su caballo
5. E tuttavia gli pareva di aver avuto fortuna, perché quella, secondo lui, era una disgrazia proprio da cavalieri erranti, e dipendeva tutta dalla caduta da cavallo.
Cap. IV, p. 49

6. — Mire vuestra merced —respondió Sancho— que aquellos que allí se parecen no son gigantes, sino molinos de viento y lo que en ellos parecen brazos son las aspas, que, volteadas del viento, hacen andar la piedra del molino.
6. - Badi bene, sa - rispose Sancio - che quelli là non sono giganti, ma mulini a vento, e quelle che paion braccia, son le ali, che mosse dal vento fanno andare la macina.
Sancio Panza, cap. VIII, p. 69

7. - ... Y, según yo he oído decir, el verdadero amor no se divide, y ha de ser voluntario, y no forzoso. Siendo esto así, como yo creo que lo es, ¿por qué queréis que rinda mi voluntad por fuerza, obligada no más de que decís que me queréis bien?
7. - ... E a quel che ho sentito dire, il vero amore è indivisibile, e deve essere spontaneo e non forzato. Dunque, perché volete che sottometta la mia volontà per forza, per la sola ragione che voi dite che mi volete bene?"
Marcella, cap. XIV, p. 120

8. - ... Yo nací libre, y para poder vivir libre escogí la soledad de los campos
8. - ... Io son nata libera, e, per poter vivere libera, scelsi la solitudine dei campi
Marcella, cap. XIV, p. 121

9. — Sancho amigo, has de saber que yo nací, por querer del cielo, en esta nuestra edad de hierro, para resucitar en ella la de oro
9. - Sancio, amico mio, sappi che per volontà del cielo io nacqui in questa età di ferro per far risorgere quella dell'oro
don Chisciotte, cap. XX, p. 174

VOLUME 2

10. - ... [La poesia] Ella es hecha de una alquimia de tal virtud, que quien la sabe tratar la volverá en oro purísimo de inestimable precio
10. [La poesia] È fatta di un metallo di tale virtù, che chi lo sa trattare riesce a cambiarlo in oro purissimo d'inestimabile valore.
don Chisciotte, cap. XVI, p. 720

11. - ... En resolución, todos los poetas antiguos escribieron en la lengua que mamaron en la leche, y no fueron a buscar las estranjeras para declarar la alteza de sus conceptos. Y, siendo esto así, razón sería se estendiese esta costumbre por todas las naciones, y que no se desestimase el poeta alemán porque escribe en su lengua, ni el castellano, ni aun el vizcaíno, que escribe en la suya. 
11. - ... Insomma, tutti gli antichi poeti scrissero nella lingua che succhiaron col latte, e non andarono in cerca d'altre lingue per esprimere l'altezza dei loro concetti, quindi la logica vorrebbe che quest'uso fosse esteso a tutte le nazioni, e che non si disistimasse il poeta tedesco perché scrive nella sua lingua, né il castigliano o anche il biscaglino che scrivono nella loro.
don Chisciotte, cap. XVI, p. 721

12. - ... la pluma es lengua del alma 
12. - ... la penna è la lingua dell'anima 
don Chisciotte, cap. XVI, p. 722


Il testo originale delle frasi è tratto da: 
Miguel de Cervantes Saavreda, El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha in Progetto Gutemberg LINK

Il testo in italiano è tratto da:

Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, traduzione di Ferdinando Carlesi, Arnoldo Mondadori Editore, 1933 - edizione Oscar Grandi Classici 1991


MODALITÀ DI SPEDIZIONE

Oltre alla traduzione in una lingua straniera o locale/dialetto è necessario inviare la frase o il brano in italiano da cui si parte, il nome dell'autore della traduzione in italiano e la collocazione della frase all'interno dell'opera: capitolo e volume

Altra possibilità: inviare la frase o il brano dal testo originale di Cervantes, oppure dalla traduzione in lingua inglese o in altre lingue

Si possono anche inviare traduzioni già pubblicate, proprie o altrui, basta indicarne l'autore e possibilmente la data di pubblicazione.

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