Galgo español, Castilla |
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Don Chisciotte: imparare traducendo - il galgo e il ronzino, che con lo scudo e la lancia fanno l'hidalgo
C'è un cane nel Don Chisciotte che mi ha aperto un mondo: è il galgo dell'incipit. Un cane di cui non ricordavo l'esistenza, perché non se ne trova traccia nell'iconografia dell'opera che da quattro secoli ha un posto privilegiato nell'immaginario occidentale. Eppure il galgo fa parte di quella serie di otto parole - cinque nomi e tre aggettivi - con cui Cervantes traccia il primo profilo del suo anti-eroe: un'unica pennellata, alla Picasso o alla Matisse, con cui nasce il romanzo moderno. È il 16 gennaio 1605 - o per lo meno questa è la prima pubblicazione che ci è pervenuta, l'autorizzazione reale è del settembre 1604 perciò potrebbe essercene stata una precedente.
Pur conoscendo l'influenza dell'opera di Cervantes sulla letteratura e sull'arte dei secoli successivi, e la vitalità del suo personaggio nell'immaginario occidentale dopo oltre quattro secoli, confesso di non essermi resa conto dell'incisività di quelle otto parole fino al momento in cui ho ripreso in mano il testo non per una semplice rilettura, ma per Don Chisciotte: nuova sfida alla traduzione lanciata da Progetto @MarcoPolo con Adotta_il_Tradotto LINK. Perché se è vero che ogni parola contiene un mondo, è altrettanto vero che per accorgersi di ciascuno di quei mondi in nuce non c'è niente di meglio che cimentarsi in una traduzione. Una volta superata la fase della comprensione inizia quella della ricerca del termine che meglio rende il significato del testo originale. Se si traduce nella propria lingua madre - nel senso letterale, cioè quella in cui ci parlava nostra madre: la lingua locale o il dialetto in cui non siamo abituati a scrivere - questa seconda fase porta necessariamente ad un'insolita ricerca della nostra identità culturale più profonda, quella sepolta sotto anni di scuola e studi vari, decenni di letture, radio e televisione in italiano. Un'identità che emerge in modo ancora più netto se si ha la possibilità di confrontare versioni in lingue diverse, magari parlandone con i traduttori. Questi sono i motivi per cui ho ideato il Progetto @MarcoPolo: riscoperta della propria identità per farne dono all'altro, superamento dei confini e nuove relazioni, attraverso la lettura condivisa dei testi letterari.
INCIPIT
En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme, no ha mucho tiempo que vivía un hidalgo de los de lanza en astillero, adarga antigua, rocín flaco y galgo corredor.
Miguel de Cervantes Saavreda, El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha LINK
Con le parole che aprono il testo, rifiutando cioè di dare un nome al paese di Don Chisciotte (In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome è la traduzione di Ferdinando Carlesi,* 1933)
Cervantes mette in campo il primo tema: l'ironia nei confronti dei romanzi cavallereschi. Eliminando dati che rendevano unico l'eroe epico, mediocrizza il suo protagonista e al tempo stesso sgancia la sua opera dalla tradizione, celebrando la libertà compositiva. È un attacco in cui eludendo si allude. E sarà lo stesso autore a sottolineare la provocazione di quel rifiuto nelle pagine conclusive del secondo volume, pubblicato alla fine del 1615:
Cervantes mette in campo il primo tema: l'ironia nei confronti dei romanzi cavallereschi. Eliminando dati che rendevano unico l'eroe epico, mediocrizza il suo protagonista e al tempo stesso sgancia la sua opera dalla tradizione, celebrando la libertà compositiva. È un attacco in cui eludendo si allude. E sarà lo stesso autore a sottolineare la provocazione di quel rifiuto nelle pagine conclusive del secondo volume, pubblicato alla fine del 1615:
Este fin tuvo el Ingenioso Hidalgo de la Mancha, cuyo lugar no quiso poner Cide Hamete puntualmente, por dejar que todas las villas y lugares de la Mancha contendiesen entre sí por ahijársele y tenérsele por suyo, como contendieron las siete ciudades de Grecia por Homero.
2, capitúlo LXXIV LINK
Questa fu la fine dell'Ingegnoso gentiluomo della Mancia, il cui luogo preciso di nascita non volle Cide Hamete mettere nel suo libro, perché tutti i villaggi e i paesi della Mancia si potessero contendere fra loro il vanto di avergli dato i natali, come fecero per Omero le sette città della Grecia.
2, LXXIV
* Traduzione di Ferdinando Carlesi, 1933 - edizione Oscar grandi classici 1991 pp. 1210-11
Canija (Magra), la galga corredora di mia cugina Spe Taillefer Medina, Barcelona |
Dell'Ingenioso hidalgo generalmente si conosce la cavalcatura, Ronzinante: un cavallo malandato o, appunto, ronzino. Si ricorda il suo scudiero Sancio Panza in sella all'asino. Siamo in molti ad aver da sempre chiara l'immagine dei mulini a vento. Ma l'iconografia non ci propone cani. Eppure Cervantes pone il galgo corredor proprio nell'incipit. E non certo a caso.
Per tradurre in lingua veneta, variante veronese, sono partita dalla traduzione in italiano di Ferdinando Carlesi*, pubblicata per la prima volta nel 1933: galgo corredor diventa can da séguito cioè segugio. Oggi la classificazione, anche sportiva, è cane da seguita.
Non sono un'esperta di caccia: per trovare la traduzione più precisa in veronese mi sono perciò rivolta a mio cognato Giuseppe Zamboni, cacciatore sin da ragazzo, figlio e nipote di cacciatori. "Can da leori - mi ha risposto -. In questa zona generalmente si impiega il segugio italiano".
Can da léori significa, letteralmente, cane da lepri: esattamente lo stesso significato di levriere (o levriero) che, ci spiega il Vocabolario Treccani LINK
è il nome (anche in funzione attributiva: cane l.) di varie razze di cani da corsa, impiegati anche per la caccia alla lepre. Levrière deriva dal francese lévrier, che è il latino tardo (canis) leporarius, derivato di lepus -pŏris «lepre».
Nessuna sorpresa, visto che i Romani non si limitarono a dare a Verona la pianta urbana e alcuni dei suoi monumenti più preziosi come l'Arena e il Teatro Romano, ma lasciarono un'impronta importante nella cultura che traspare in primis dalla lingua.
Grazie a un'immagine speditami da Mariangela Dui di Lula (Oristano) che per la nostra sfida ha tradotto l'incipit in lingua sarda - ho poi scoperto che levrière da caccia è la scelta di traduzione di Alfredo Giannini (1923)**. Wikisource riporta la traduzione del 1818 di Bartolomeo Gamba: cane da caccia***. È la stessa scelta di Pietro Curcio (1950) come mi ha comunicato Francesco Marcianò mandandomi la sua versione in lingua greca di Calabria.
Sono andata quindi a cercare il significato della parola usata da Cervantes, galgo.
Secondo l'Enciclopedia Treccani, il galgo spagnolo è il levriere che maggiormente si avvicina a quello dell'antichità LINK.
Da altre fonti online ho appreso che il greyhound inglese discenderebbe dal galgo spagnolo.
La presenza del canis gallicus, antico cane dei Celti, nella penisola iberica è attestata già dal proconsole Romano Arriano di Nicomedia (95-175 d.C.). Considerato un cane nobile, per secoli fu riservato agli aristocratici sia cristiani che mussulmani e furono promulgate numerose leggi che ne punivano severamente l'uccisione o il furto. Citato nei testamenti, veniva lasciato in eredità come un bene prezioso. Dal Medio Evo la caccia alla lepre divenne attività riservata ai nobili. I Fueros de Castilla y Aragón (Privilegi di Castiglia e Aragona) proibirono il possesso di galgos ad altre classi sociali, politica continuata dai Borboni fino alla Desamortizatión de Mendizàbal LINK che nel 1836 abolì, tra gli altri, anche questo privilegio.
La condizione del galgo spagnolo è comune ad altri levrieri.
Per esempio quello irlandese, il gigante tra i cani. Chiamato nella lingua celtica Cú traducibile come "segugio", "cane da lupi" (in inglese è chiamato Irish Wolfhound), o "cane da guerra", sarebbe arrivato nell'isola già nel 7.000 a.C., avrebbe combattuto con i Celti nel Sacco di Delfi nel 279 a.C. e viene citato da Cesare nel De bello gallico. Nei secoli seguenti figura nelle leggi irlandesi, nei poemi e nelle saghe. Dal periodo dell'occupazione anglo-normanna, ai soli nobili era permesso per legge possederne, in numero dettato dal rango: tanto che gli irredentisti irlandesi, primo fra tutti Mícheál Ó Coileáin (1890 – 1922), gli preferivano il Kerry Blue Terrier.
Il levriere è anche figura araldica: simboleggia, oltre la caccia, un animo pronto, vivace e costante nel seguire una impresa. Niente di meglio per Don Chisciotte.
Ecco quindi il significato di quel galgo corredor nell'incipit: indica la condizione sociale dell'hidalgo, il nobile. Descrive, proprio come la figura araldica del levriere, l'animo di Don Chisciotte che - ci spiega subito dopo l'autore - era stato amigo de la caza (amante della caccia *) ma, a causa della passione per la lettura dei romanzi cavallereschi,
Per comprarsi libri era arrivato al punto di vendere terreni: ma non il galgo corredor. Di questo levriere non sentiremo più parlare nelle oltre 1200 pagine dell'opera, in cui ricorrono però altri galgos, sempre ad indicare una condizione sociale - i perros (termine generico per cani) compaiono tre volte più spesso.
Per esempio, nel secondo volume, cap. XVI, Don Diego de Miranda si presenta così:
olvidó casi de todo punto el ejercicio de la caza, y aun la administración de su hacienda
dimenticò quasi del tutto la caccia e anche l'amministrazione del suo patrimonio *.
Per esempio, nel secondo volume, cap. XVI, Don Diego de Miranda si presenta così:
Soy más que medianamente rico y es mi nombre Don Diego de Miranda; paso la vida con mi mujer, y con mis hijos, y con mis amigos; mis ejercicios son el de la caza y pesca; pero no mantengo ni halcón ni galgos, sino algún perdigón manso, o algún hurón atrevido.
Sono assai ricco, e mi chiamo Don Diego di Miranda. Passo la vita con mia moglie, coi miei figliuoli e coi miei amici; le mie occupazioni sono la caccia e la pesca; non tengo tuttavia né falconi né levrieri da séguito, ma soltanto qualche perniciotto addomesticato per richiamo e qualche bravo furetto.
* Vol 2, cap. XVI, p. 717
Nell'incipit, il galgo corredor è quindi il simbolo dell'appartenenza di Don Chisciotte a una determinata classe sociale, proprio come una figura araldica. La figura araldica prescelta, il levriere, indica l'animo di Don Chisciotte.
Il fatto poi che questo hidalgo possiede un unico levriere ci dà la misura delle sue scarse condizioni economiche: i levrieri vengono generalmente allevati in mute, e la caccia si svolge preferibilmente unendo varie mute (come avviene per la caccia alla volpe in Inghilterra).
Il fatto poi che questo hidalgo possiede un unico levriere ci dà la misura delle sue scarse condizioni economiche: i levrieri vengono generalmente allevati in mute, e la caccia si svolge preferibilmente unendo varie mute (come avviene per la caccia alla volpe in Inghilterra).
Ecco quindi rafforzato anche il senso degli altri termini che compongono quel gruppo di otto parole:
. lanza la lancia che tiene nella rastrelliera, come un cavaliere medievale ma con una proprietà dove tiene la rastrelliera, non quindi solo cavaliere errante: nel corso dell'opera Don Chisciotte parte da casa e vi fa più volte ritorno per poi ripartire
. adarga antigua lo scudo antico/vecchio, probabilmente ereditato da qualche antenato. L'adarga è una tipologia di scudo di derivazione araba, molto resistente alla spada, alla lancia e alla freccia, utilizzato nel tornei e nei duelli cavallereschi della nobiltà spagnola fino al XVII secolo LINK A mio parere, Cervantes vuol qui fare anche un sottile, ironico richiamo allo scudo di Achille
. rocín flaco ronzino, cioè cavallo dalla cattiva conformazione, meticcio, di scarso pregio - non purosangue, che Don Chisciotte non poteva permettersi - oltretutto magro. In cavalleria, il ronzino era solitamente riservato allo scudiero, o utilizzato per trasportare bagagli.
Un'unica pennellata, come nei migliori esempi di arte moderna, per delineare il personaggio. Con questa pennellata Cervantes supera la retorica rinascimentale e i suoi ideali di armonia, e colloca il suo Don Chisciotte in età barocca: già queste otto parole danno la misura di una realtà ambigua e sfuggente, dominata dall'indebolirsi del confine tra reale e fantastico.
TRADUZIONE IN VERONESE
Én un paéseto de la Mancia, che no gò voia de ricordarme come el se ciàma, no tanto tempo fa vivea un nobilòmo de cuéi có lansa ne la restelèra, scudo vècio, bròco^ séco strinà^^, e can da léori.
AUDIO
AUDIO
^ bròco è un cavallo malandato, dal latino broccus agg. "sporgente" (detto dei denti). Il termine, comune ad altre parlate del nord Italia, si usa anche per indicare persona incapace, inetta, imbranata
Vd. Vocabolario Treccani brocco LINK
Vd. Vocabolario Treccani brocco LINK
^^ séco strinà molto secco / magro - da strinàr inaridire dal freddo o dal troppo caldo; strìn indica sia il rigore dell'inverno che il caldo secco di certe giornate estive
Vd. Treccani strinare LINK letteralmente Riardere, o seccare e inaridire le piante, come effetto del calore del sole o, al contrario, del gelo invernale: altri [semi] caddero nei sassi ... e sorto il sole, furono strinati e per non avere radice seccarono (Pascoli); il freddo in terra era intenso, le poche erbe erano già strinate dal gelo (Montale ).
Vd. Treccani strina LINK
s. f. [der. di strinare, o lat. austrina, femm. sostantivato dell’agg. austrinus (v. strinare)]. – Voce presente in dialetti centro-settentrionali, con sign. diversi ma affini: improvviso gelo dannoso alla vegetazione, rigore dell’inverno, vento gelato, siccità.
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INCIPIT
Traduzioni in italiano
* Ferdinando Carlesi, 1933
In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e can da séguito.
- traduzione e introduzione di Ferdinando Carlesi, Collana Biblioteca Moderna (2 voll.: pp. 526 e pp. 574), Mondadori, Milano, 1933; Collana I Meridiani, Mondadori, 1974, pp. 1451 ISBN 88-04-11306-5; Collana Oscar classici 1985; Collana Oscar grandi classici 1991
** Alfredo Giannini, 1923:
In un borgo della Mancia, che non voglio ricordarmi come si chiama, viveva non è gran tempo un nobiluomo di quelli che hanno e lancia nella rastrelliera e un vecchio scudo, un magro ronzino e un levriere da caccia.
- traduzione di Alfredo Giannini, Collana Biblioteca Sansoniana straniera (4 voll.), G.C. Sansoni, Firenze, 1923; Collana BUR, Rizzoli, Milano, 1949-2017, pp. 1328
*** Bartolomeo Gamba, 1818:
Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia.
- traduzione di Bartolomeo Gamba, 8 voll., Venezia, 1818-19; Parma, 1829-30; Ist. Editoriale Italiano, 1913; Barion, 1931 LINK
**** Pietro Curcio, 1950
In un sito della Mancia del cui nome non voglio ricordarmi, viveva, or non è molto, un idalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi d'antica foggia, ronzino magro e cane da caccia.
- traduzione di Pietro Curcio (volume unico), editrice Curcio, Ancona, 1950, pp. 684
Rara immagine del galgo corredor di Don Chisciotte LINK |
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